mercoledì 18 luglio 2012

Non ha ancora un titolo, ok? No, davvero. Seconda parte,secondo capitolo.

Bene, quasi un altro appuntamento semifisso di questo blog, ormai (fino a che non viene il giorno che crollo di sonno, poi diventerà un filino meno fisso): il racconto.

Ancora senza titolo, si intende. Appena mi verrà in mente, sarete i pimi a saperlo, ok? Giuro.

Per la cronaca, ricordo sempre che l'inizio lo trovate qua, la prima parte del primo capitolo qua, la seconda parte qua, e la prima parte del secondo capitolo qua.

E ora andiamo pure con la seconda parte del secondo capitolo. Buon divertimento!





VI.


Era rimasto chiuso in gabbia per un tempo lunghissimo. Non avrebbe saputo dire neppure lui quanto. Ormai sapeva solo che si era sbloccata la sicura della cella. All'inizio non capiva, probabilente non aveva nemmeno mai sentito quel rumore. Era rimasto ad osservare il punto da cui era provenuto il rumore per almeno 10 minuti. Poi si era deciso ad alzarsi ed a toccare la griglia della prigione.

La porta si aprì, con un cigolio che lo spaventò ancora più del primo rumore.

Ora non vedeva più quelle sbarre di fronte a lui. Gli sembrava così assurdo non vederle che gli sembrava ci fossero ancora.

Aspettò ancora prima di attraversarle. Ma di fronte a lui, finalmente, c'era solo l'aria.

L'aria.

L'aria, e poi, la libertà.

Fece pochi passi verso lo spazio aperto, ma dopo un attimo si fermò. LO, fermò. Qualcosa lo fermò. Dal collo. Lo tirava, e non riusciva a uscire. E per poco non soffocò.

Non se ne ricordava più. Era passato così tanto tempo che non lo sentiva più.

Il collare.

Portò le mani al collo, e lo sentì. Metallo freddo, grosso. Mosse le dita nodose attorto alla struttura, alla ricerca di un lucchetto. Eccolo. Da dove partiva la catena che lo teneva ancorato al muro dietro di se.

La toccò, e la catena cadde. Era sbloccato anche il lucchetto del collo, che cadde. Cdendo si portò dietro la parte frontale della maschera. Anche quella, non ricrdava di averla.

Se la sfilò, e la parte frontale, ancorata al corpo della maschera stessa, ricadde al suo posto.

La guardò.

Era tutta di metallo. Anche sugli occhi. Era una retina metallica. E sulla bocca, aveva una cannuccia per far entrare il cibo liquido.

La portava da così tanto tempo che nemmeno si ricordava di succhiarlo, il cibo. Quella maschera la sentiva ormai così come se fosse la sua vera faccia.

Continuò a guardarla. Sembrava il volto di una mosca. Improvvisamente, senza preavviso, si fece pena e si mise a piangere. Le lacrime scendevano copiose sulla barba che non sapeva nemmeno di avere.

Era lunghissima. Doveva essere lì dentro da anni.

Lasciò cadere la maschera a terra, ed il forte rimbombo metallico che produsse stavolta non lo spaventò. Un passo dopo l'altro, stava uscendo dalla gabbia che negli ultimi periodi della sua vita l'avevano reso poco più di un animale in cattività.

C'erano delle scale, di fronte a lui. Delle lunghissime scale di pietra, sche sembravano scendere fino all'inferno. Le dovette scendere piano piano, un solo scalino alla volta e poi fermarsi a tirare il fiato, perchè l'inamobilità aveva reso deboli i suoi muscoli e fiacche le sue forze. E comunque non lo sapeva, cosa ci fosse laggiù.

La sua vita, com'era, lo ricordava? Che uomo era stato? Ci sarebbe stato qualcuno, là fuori, ad aspettarlo? O forse, che questo non fosse altro che un alto trucco, un gioco per divertirsi alle sue spalle, sulla sua pelle, per giocare ancora con lui? Sperò che non fosse così, mentre ancora piangeva.

Era nudo, e nemmeno se ne rendeva conto.


VII.


Era ancora a riflettere sovrappensiero, quando improffisamente si ricordò una cosa.

L'anno.

L'aveva letto moltissimo tempo fa, quando aveva contollato tutto il materiale interno della Max Enterprise. E l'aveva letto in uno studio particolare, un modello di screscita stimato dalla società sulla situazione esterna.

Non era uno studio generalizzato, non erano profili statali, parastatali, non era nullo. Erano proiezioni che faceva la Max Enterprise. E ora se lo ricordava.

Era un calcolo che la società aveva fatto nel 2012.

Aprì l'interfono.

- Si, signor Max?-

- Signorina, mi porti il rapporto Max sul Fiscal Compact.-

- Subito, signore.-

Come aveva fatto a non pensarci più? L'anno, accidenti, l'anno...Eppure doveva essere una cosa fondamentale, ai tempi. Ma come spesso accade, le cose cadono nel dimenticatoio e non ci pensa più nessuno.

Fino a che ci si trova di fronte alla peggior catastrofe della storia senza nemmeno rendercene conto.

Tutti questi anni di interessi dovevano aver portato la sitazione ai limiti estemi, per forza questo doveva essere l'anno giusto.

Prese il telefono, e chiese alla segretaria di passargli il suo banco centrale.

- Signor Max?-

- Mi perdoni se la disturbo, signor Bluber. Mi chiedevo..qualcuno ha per caso fatto il conto di quanto ci devono le banche centrali, alla data attuale?-

- Vuol dire TUTTE le banche centrali? Tutte assieme?-

- Tutte assieme.-

- Mi permetta di verificare, signore. Potrei darle il saldo positivo, ma poi dovremmo ancora togliere tutte le spese e le note negative, gli storni, le note di debito..-

- Si, ho capito.-, disse il miliardario. - Facciamo così. mi chiami appena la cifra e completa. Attendo.-

- Molto bene signore, si tratterà di qualche minuto.-

Qualche minuto. Questione di decenni, altro che qualche minuto. E decenni che erano alla scadenza, oltretutto.

Nel frattempo la segretaria bussò alla porta.

- Venga, signorina.-

- Le ho portato il dossier.-

Gli porse il tablet.

- La ringrazio. Vada pure.-

Iniziò subito a leggerlo, alla semplice ricerca di un dato, la conferma che l'anno fosse proprio quello che ricordava. Non appena lo lesse, una goccia di sudore freddo gli solcò la fronte.

Fermò la segretaria che non era ancora uscita: - A-aspetti, signorina...-

- Si?-

Gli tremavano le gambe.

- M-mi chiami il presidente della Max Space...s-settore esplorazione spaziale...-

Suonò il suo cellulare. Era il banco centrale.

- Max.-

- M-mi scusi se l'ho chiamata direttamente qua, signor Max..Ho notizie molto forti, e so che questa linea è protetta...-

- Mi dica...-

- Signore....è una cifra spaventosa. Una cifra che è meglio che nessuno venga a sapere...mai...-

- Lo immaginavo...-


IIX.


Si era ritirato a vita privata molti anni prima. Aveva faticato per raggiungere certi risultati, e per alcuni di essi si era profondamente logorato. Però alla fine si era dedicato con attenzione a quello che voleva fare, per essere in pace con se stesso. E aveva rinunciato al passato ed al futuro, perchè si era reso conto che non riusciva più a vivere del presente. E passava il tempo rilassandosi, e pensando a cose belle.

Aveva da tempo deciso di non attaccarsi alle cose, né alle persone. Queste vanno e vengono, acune arrivano così lontano che fanno il giro, mentre altre non rispondono più all'appello. Questa era la cosa che lo rendeva più triste: aveva compreso che per non soffrire bisogna esser soli, e sebene lo facesse non era mai riuscito ad accettarlo veramente a fondo. Ma per il resto, seguiva la via della virtù fino in fondo, sperando ogni giorno che il giorno dopo potesse essere migliore. Anzi, viveva nella convinzione assoluta che sarebbe SICURAMENTE stato migliore.

Capì altresì che i desideri, come il possesso delle cose (e delle persone) generano l'infelicità. Viveva invece nella concezione che la felicità va cercata dentro di noi, ed estratta tramite la profonda conoscenza di sé stessi.

Per questo si era chiamato fuori dal mondo, fuori dai rapporti, fuori dal lavoro, fuori dalla società.

Faceva una vita sana: esercizio fisico, cibo sano e non eccessivo, sonno profondo e regolare. Aveva fatto molti sbagli, in vita, e ormai conviveva regolarmente con il loro ricordo. Lo aveva accettato, e così facendo, usandoli per migliorarli, li aveva trasformati in successi. Infine, aveva imparato ad accettarsi. Non poteva essere meglio di così, e lo sapeva. E soprattutto, si piaceva. E amava disinteressatamente chiunque venise a fargli visita.

Viveva ormai nel suo piccolo eremo tra le colline degli stati centali da quasi dieci anni, ormai. Coltivava la terra, e leggeva tantissimo. La sete per la cultura non si era mai placata. Un computer gli garantiva tutto lo scibile di cui aveva bisogno. Non avrebbe barattato questo tipo di vita con nulla al mondo, eppure un piccolo elemento di disturbo c'era.

Una volta al mese, uno dei suoi alberi si illuminava completamente, come se fosse colpito da una lampadina interna, e diventava tutto blu.

La prima volta si era spaventato. Ma quando l'effetto finì, poche ore dopo, si tranquillizzò subito. Non era mai riuscito a capire cosa accadesse di preciso, e non gli interessava. Quello che temeva era che qualcuno, dal di fuori, magari dalle colline circostanti, si rendesse conto della cosa (magari nelle ore notturne) e che i media cominciassero a prendere il suo eremo per un piccolo circo mediatico. Questo proprio non lo avrebbe sopportato.

Quindi, quando veniva il giorno preciso, cercava sempre di coprirlo il più possibile, ma l'albero era troppo alto, troppo larco, troppo luminoso, e qualunque tentativo alfine era inutile. Il piccolo faro nella notte continuava a risplendere.


Andava avanti così da circa tre anni, e fino ad ora, fortunatamente, nesuno si era accorto di nulla. Non lo voleva tagliare, ma non sapeva proprio più come fare.

E la sua virtù veniva meno.



IX.


Sarebbe stato, comunque, molto difficile rendersi conto di quanto e come stava cambiando il mondo. Difficile a chiunque non avesse avuto modo di trovarsi sulla faccia nascosta della luna, difficile a chi, già sapendo cosa stava accadendo sulla stessa faccia, si fosse trovato ad osservare come l'albero azzuro sfavillava al ritmo del segnale lunare. E difficile a chi, pur già sapendo entrambe le cose sovracitate, non si fosse trovato nel centro dell'oceano pacifico, dove proprio ora stava prendoci una voragine di 5 chilometri di diametro. Gli osservatori satellitari se ne sarebbero accorti solo tra un paio d'ore, quando questa sarebbe già stata catalogata come la più grande turnine marina che si fosse mai registrata. Sette pozzi naturali di antimateria regirono a queste tra cose simultanee, entrando in fibrillazione e formando una rete attorno al pianeta, rete che di fatto ora lo chiudeva in una cappa di energiamostruosa. Questa in qualche modo entrò in reazione con i gas serra del pianeta, contribuendo a smorzarne una grossissima fetta. Improssisamente, il pianeta tornava a respirare, quasi di botto.

Questo avrebbe avuto effetti devastanti sulle correnti oceaniche, cosa alla quale-evidentemente- chi aveva progettato tutto questo enorme sistema non aveva minimamente pensato. Oppure lo aveva fatto, ed aveva reputato la cosa come accettabile.

L'accettabile, in questo caso, comprendeva altissime variazioni di pressione delle correnti d'aria, con conseguente formazione di cicloni ed anticicloni un po' a random sul pianeta.

Tutto questo sarebbe stato facilmente intuibile nel giro di un paio di settimane. L'unico effetto che l'alta pressione avrebbe avuto istantaneamente sarebbe stato solo un bel tempo generalizzato, ed anche per questo ci volle così tanto a rendersi conto di cosa stava accadendo.

Eppure, il grosso del cambiamento, almeno a livello psicologico, l'umanità lo avrebbe avuto da lì a poche ore.

Quando, quel pomeriggio, infine, Max ebbe a confrontare tutti i dati che aveva raccolto, non ebbe più dubbi. Per questo chiamò subito il suo centro aerospaziale:

- Vorrei essere ragguagliato sul numero di pianeti scoperti ad oggi potenzialmente abitabili dalla nostra struttura.-

- Bhe, ipotizzando un buon livello di terraforming di alcune decine d'anni come minimo, possiamo affermare che almeno un buon 23% dei pianeti attualmente sotto osservazione potrebb- - I pianeti potenzialmente abitabili SUBITO.-

Ci fu un istante di silenzio. Poi l'interlocutore riprese:

- Subito, signore?-

- Subito.-

- Io credo che limitando così tanto lo spettro delle possibilità la risposta sia...nessuno...-

- E nel giro di sei mesi?...un anno al massimo?-

- Ma...sempre nessuno, signore, non ci sono pianeti abitabili nei prossimi dintorni con queste caratteristiche...-

-...E lontano? Molto lontano?-

- Ma...mi perdoni, a cosa le servirebbe sapere se lontano c'è qualcosa di abitabile subito? Le ricordo che la curvatura è ancora solo una teoria, non riusciamo ancora a stabilizzare i verteroni, le concordanze di fase disallineate distruggerebbero la nave in un istante, se...-

- Ci sono o no?-

- Bhe...in teoria si. Ma...-

- Voglio una riunione straordinaria. Scelga il progetto di nave migliore che ha e me lo porti. Si porti con se tecnici, astronauti, chimici, fisici, anche falegnami se vuole: voglio che la nave sia in grado di funzionare.-

- Ma l'enorme quantità di energia necessaria ci rende di fatto impossibile fare il salto...-

- Non si preoccupi dell'energia.-

- Ma...-

- Si fidi.-

- Quante persone dovrebbe portare la nave in questione?-

- Almeno centomila.-

- COSA?!-

- E si accerti che sia possibile costruirne almeno mille in un tempo relativamente breve. Non si preoccupi dei costi..-



X.

L'oloviev stava commentando l'incredibile valore ormai raggiunto dalle azioni della (non era mai esistito un caso del genere nella storia della borsa). Erano già state bloccate per eccesso di rialzo, ma tutto lasciava intuire che il loro valore, se il trend fosse stato confermato, nel giro di una settimana avrebbe pareggiato il valore di tutto il resto del mercato azionario mondiale.

Ma i ragazzi non ascoltavano. Jordan era sempre particolarmente curioso di sapere di quale conferenza si stava parlando. Che alla fine quello non fosse un vero viaggio di piacere ma una cosa mirata?

- Ehm...ammetto che la conferenza è interessante.- tagliò Vincent-Ma non siamo qua per quella...-

- Davvero? Noi siamo riuscite a procurarci i biglietti all'ultimo momento, tra parentesi ad un prezzo ultramaggiorato.- - Non ce la saremmo persa per nulla al mondo.-, aggiunse la seconda.

- Ma che conferenza è?-, chiese Jordan.

- Dopo te lo spiego, tranquillo.-, disse Vincent facendo spazio alla cameriera che stava portando i piatti.

- mmmhhh....-

- Fidati.- gli strizzò l'occhio.

- Cosa avete preso voi di buono?-, chiese la ragazza mora.

Cominciarono quindi a chiacchierare, e la serata passò tranquillamente e piacevolmente. Jordan ebbe modo di riflettere su quanto fosse un amabile conversatore il suo amico quando sono a tavola. Di più: era un intrattenitore. Parlarono di piatti locali, poi di tradizioni del luogo e di altri luoghi, poi di film, di politica, un po' anche di sport e infine del caldo.

Il ragazzo con il ciuffo di capelli bianchi pensò che gli sarebbe piaciuto far parte della tavolata. Che si sarebbe divertito, come ai vecchi tempi. Perchè, si, è pur vero che loro non lo conoscevano, ma lui li conosceva molto bene. Fin troppo.

Certo, Vincent l'aveva conosciuto in una altro modo...e Jordan fondamentalmente, con lui ha avuto poco a che fare, direttamente. Ma comunque, lo conosceva. Lo conosceva molto bene, si.

Sospirò.

Mancava poco.

Tra poco i due ragazzi avrebbero incontrato chi lo aveva mandato a seguirli, se tutto fosse andato per il verso giusto. Per fortuna.


Perchè altrimenti questo spettacolo che è questo paese tra poco non sarebbe esistito più. Il suo gelato, le sue persone, la sua rocca. Niente.


La cosa bella è che chi lo aveva mandato lì non lo sapeva ancora.

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